Sul Monte
Calvario in Cile
Servizio di Walter Bellisi
CAPITAN
PASTENE (CILE) - Delle 88 famiglie, 507 persone fra adulti e bambini, che nel
1904 e nel 1905 lasciarono l'Appennino emiliano per andare a colonizzare 63 mila
ettari di terreno nel sud del Cile, alcune erano originarie della montagna
bolognese, dei comuni di Savigno, Castel d'Aiano, Serravalle, Bazzano, Vergato e
anche di Castelbolognese. Tutti raggiunsero quelle dolci colline strette tra la
cordigliera delle Ande e la cordigliera della Costa.
Speravano di farsi quaggiù un futuro, di trovare ciò che la terra natale,
allora, non avrebbe potuto loro dare. Ingaggiate da Giorgio Ricci di Verica di
Pavullo, ogni famiglia diventò proprietaria di un minimo di 50 ettari di
terreno. Ma appena giunsero in questo Paese tanto lontano, i nostri coloni
cozzarono contro una crudele realtà. La terra di colore rosso mattone era
tremendamente sterile. C'erano per• boschi, e il legno diventerà la maggiore
fonte di lavoro. Si sentirono ingannati i nostri emigranti, traditi da un
montanaro come loro.
Il nome di Ricci viene pronunciato ancora con disprezzo da molti dei 2.000
abitanti di questo paesone con le case di legno, dove il primo tratto di strada
asfaltata risale allo scorso anno. I nostri coloni si chiusero in loro stessi,
si isolarono, tanto da restare "dimenticati" per 50 anni.
Recentemente ha fatto visita a Capitan Pastene una delegazione emiliana composta
da Antonio Parenti della Consulta regionale per l'emigrazione, da Aldo Preci
sindaco di Zocca, da Ebe Tintori consigliere del comune di Zocca e
dall'interprete Claudio Matroianni. Nell'occasione Zocca si è gemellata col
comune di Lumaco-Capitan Pastene.
Qui abbiamo incontrato due fratelli, sui 30 - 35 anni, discendenti di una
famiglia originaria di Castel d'Aiano. Si chiamano Marlene ed Eraldo Canobbi. I
loro bisnonni erano Anacleto Canobbi e Virginia Agnolotti. Della loro terra
d'origine conoscono poco o nulla. Non sanno una parola d'italiano.
"Abitiamo a Capitan Pastene da pochi anni" - ci raccontano -. "Prima vivevamo
lontano, nel campo".
Hanno sempre lavorato la terra. Eraldo va anche al taglio del bosco e ci dice di
essere capace di lavorare la carne di maiale, come si faceva sui nostri monti un
secolo fa.
A Capitan Pastene sono vive molte tradizioni del nostro Appennino. Abbiamo visto
fare il vino, come un tempo, con l'uomo che entra nel tino e pigia l'uva coi
piedi. Le massaie fanno i tortellini che chiamano cappelletti, e le crescenti
cotte nelle tigelle di pietra, in cantina hanno la pentola con lo strutto e
appesi al soffitto alcuni prosciutti. Attigua a molte abitazioni c'Š la stalla,
costruita con asce di legno, che ospita la mucca, il maiale, alcune pecore,
capre, galline e anatre. Capitan Pastene fa parte del comune di Lumaco.
Le statistiche indicano che l'80 per cento della popolazione di questo
territorio vive in povertà.
(Il Resto del Carlino - Bologna, 4 agosto 1998)